Dopo esperienze di vita come viaggi, gare, cammini, persino il lavoro a volte, la gente pensa che vivrà soddisfatta per sempre. Quando si torna alla routine quotidiana e si prova desiderio di avventura o tristezza per la mancanza di adrenalina può accadere di andare in “depressione”.

Quando scendi dalla bici dopo chilometri di strada e inizi a camminare, c’è quell’attimo di smarrimento dove le tue gambe sono confuse su come muoversi sopra il terreno dopo aver girato per così tanto tempo sui pedali. Capita anche a te? Dopo aver percorso centinaia di km a piedi, c’è lo stesso attimo di smarrimento, ma è mentale, non fisico.

Quando ho concluso la mia avventura e sono tornata a casa, non sono stata in grado di abituarmi alla nuova realtà, a non camminare verso ovest ogni singolo giorno. Sono sprofondata in una tristezza silenziosa e solitaria che si è risollevata solo un anno dopo.

Ne ho parlato ma chi avevo intorno non poteva capire, non avendo provato la stessa scossa; così non ci ho più pensato e non ho fatto nulla a riguardo fino a quando non è finita, di colpo, di sua iniziativa. Ma quando si è fermata la furia che avevo dentro, ho iniziato a parlare chiaramente con me stessa, ed ora voglio farlo con te. Pronto?

Quando le nostre aspettative falliscono

Prima del Cammino, non sapevano che finire sarebbe stata una tale sfida.
Ho letto tante cose ma nessuno parla di depressione post escursione sul web, anche se tra i pellegrini se ne parla molto. Al contrario, ho sempre letto di cose belle, io stessa ho puntato a contenuti positivi (che ritengo più giusto), visto che si vive l’intero percorso sentendosi molto felici.
Ma quando ti avvicini al km 0, qualcosa non va.

I camminatori che ho conosciuto direttamente mi hanno raccontato di aver avuto reazioni diverse all’arrivo alla meta. C’è chi non ha sentito nulla, chi per qualche strano motivo si odiava per non saper come affrontare questa “fine”, chi ha pianto (e mi ci metto anche io, un gran pianto liberatorio), chi si è sentito realizzato in qualcosa e chi ha avuto altre belle sensazioni.
Le cose da lì vanno in caduta libera. E pensi già alla prossima escursione, spesso.

Non andare in cammino con l’aspettativa di un risultato. Lascia che sia.
L’intera bellezza del mettersi in gioco insegna come lasciare cadere qualsiasi barriera, insegna a perdere il controllo verso le cose materiali della vita. Così tante cose potrebbero andare storte: devi lasciar andare ciò che potrebbe essere o dovrebbe essere in quella situazione e accettare ciò che è (credo sia una citazione ma non ricordo l’autore, è solo un mantra che mi ripeto spesso).

Sono passati quasi 2 anni dal Cammino. Quando ho finito ho avuto tante speranze: stare a galla nella vecchia vita, guarire fisicamente, essere produttiva, fare carriera e accettare tutto questo. Ma non è quello che ho fatto.

Ho passato una enorme quantità di tempo vergognoso, conflittuale, immotivato, ho lasciato il lavoro e ho chiuso con amicizie sbagliate. Sono stata a terra anche se qui mostravo il lato migliore delle mie avventure, che ho continuato a vivere perché sarebbe stato come togliere l’ossigeno ai miei polmoni.

Dopo il Cammino, mi sono sentita incapace di reintegrarmi nella società. Era in netto contrasto con la mia esperienza sulla Via. Ricordo ad Astorga, la sensazione di non aver mai avuto una sequenza di giorni che fosse stata così chiaramente positiva. Dopo, motivarmi a lavorare in uno studio con luci al neon mi sembrava impossibile. Mi sentivo nel posto sbagliato, come se dovessi vendere una falsa immagine di me stessa e dei miei desideri, perché nessuno vuole come dipendente qualcuno che sogna tutto il giorno di non essere lì. Mi sentivo come se non appartenessi a nessuno.

Ho notato una mancanza di informazioni sugli aspetti negativi dopo un viaggio di questo tipo. Esiste estrema positività in internet e tra gli escursionisti. Se qualcuno arriva sulla bacheca di qualche gruppo Facebook sul Cammino e pubblica qualcosa di negativo, gli altri dicono “Hai fatto male tu, non incolpare il Cammino.” Sono tutti sprezzanti delle opinioni negative della gente.

Perù - Copertina pagina su di me

Depressione post-cammino

Quindi, cosa succede esattamente? Sappiamo tutti che quando le persone hanno a che fare con la depressione, spesso soffrono per una sorta di perdita.

Camminare per 12 ore al giorno è una quantità di sforzo fisico difficile da replicare nella civiltà moderna. Quando terminiamo la camminata, perdiamo anche le endorfine a cui il cervello si è abituato; perdiamo il benessere che può derivare dalla compagnia di chi condivide il nostro scopo ogni giorno e a poco a poco perdiamo la sensazione di essere parte di qualcosa di più grande.

Segni da non sottovalutare

Come si può sapere se abbiamo un problema? Se una persona non vuole impegnarsi di nuovo nella sua vita, non vuole fare cose che in precedenza ha apprezzato, si sta isolando dalle persone, non vuole ottenere un lavoro, o se si sente giù, depressa o perennemente triste, è un campanello d’allarme.

Tu puoi scegliere se rimboccarti le maniche e prendere ciò che di buono il cammino ti ha insegnato, portandolo nel tuo quotidiano, oppure crogiolarti nella mancanza di qualcosa nel profondo, rassegnarti ad aspettare le prossime ferie o addirittura la pensione per ripetere l’esperienza ed entrare così in un circolo vizioso.

Attenzione, non dico che sia giusto accettare situazioni che facevano star male prima di partire, ma il Cammino così come ci chiama a sé ha poi da offre ciò di cui si ha bisogno in un dato momento. Sta solo a noi coglierne i frutti.

Cosa devi fare?

  • Avere un piano post-cammino: suggerisco di avere un’idea di dove vivrai e lavorerai e di come sarà la tua routine al termine. È emozionante lasciare la vita di prima ma può anche essere un’esperienza molto negativa se non sai gestirla.
  • Sii realistico: prepararti per il dolore è una grande idea. Se ti butti nell’esperienza sapendo che una volta che hai finito avrai un po’ di tristezza da superare, sarai in vantaggio.
    Gli ultimi km li ho percorsi con Matteo e Francesca, eravamo un trio formidabile e cercavamo di darci conforto l’un l’altro sapendo che tutto volgeva al termine e avremmo dovuto presto salutarci.
  • Esercizio fisico: trovare altri mezzi di esercizio fisico è molto utile con la depressione in generale. E’ risaputo. Fare escursioni giornaliere o andare in palestra è una mossa vincente. Io non mi sono più fermata e continuo a camminare, camminare, camminare…
  • Condividi l’esperienza: anche se le persone non possono o non vogliono capire, sii disposto a condividere l’esperienza. Puoi ricordare i bei tempi e rendere partecipi le persone che ti vogliono bene. Anche meglio, Incontra i pellegrini che hai nelle vicinanze: riescono a capire cosa stai passando. Sono partiti diversi amici per il Cammino dopo di me e una volta tornati mi hanno chiesto “ma si guarisce dalla Santiaghite?” Beh, sì. Solo che ci vuole del tempo 🙂
  • Ci vuole gratitudine: essere tristi per lo stress della vita quotidiana è un tema comune tra gli escursionisti. Cerca di capire cos’hai di bello nella vita e prova ad esserne grato, ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso?
  • Ricreare una routine: dare un senso alle giornate, avere uno scopo è davvero un buon modo per combattere la depressione. Cerca di dormire a sufficienza e coltiva buone abitudini.

roque-nublo

L’illuminante parere di una lettrice pellegrina

La scorsa estate ho percorso il cammino francese e subito dopo quello inglese in 42 giorni di cammino. Ho perfettamente chiara la sensazione dentro di me di avere “le ali ai piedi”, di camminare a metri da terra, di leggerezza e fluidità. Ed ho anche perfettamente chiaro il senso di oppressione, smarrimento, difficoltà in seguito al ritorno alla vita di tutti i giorni. Non c’è “rimedio” secondo me, e non credo sia nemmeno utile cercare conforto o comprensione negli altri. Come si può spiegare questa “depressione” se non si è provata “l’estasi” del cammino? Credo che il ritorno a terra, anche se violento, sia un fatto fisiologico per una questione di equilibrio, dopo aver tanto volato. Durante il cammino si impara ben presto a trasformare la fatica fisica (che comunque è parecchia), a sublimarla. E, dopo un lungo allenamento, ci viene chiesto una volta ritornati a casa di fare lo stesso anche se in condizioni completamente diverse: rivedere e trasformare le cose che si fanno, la qualità dei rapporti e delle relazioni, ecc. Penso sia improprio parlare di “depressione”, non è un qualcosa di infido secondo me. E’ un aspetto inevitabile e complementare al cammino, è un altro stato di cose, più lento e denso forse, che richiede comunque la nostra energia, la stessa che si usa per fare 40 km al giorno.

Sara Caliari

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(Scherzo, però è inammissibile che non ti piaccia la birra, sappilo.)

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